La Chinoiserie è senz’altro uno di quei fenomeni artistici e culturali che hanno preannunciato la globalizzazione dei tempi attuali. Essa è stata infatti il riflesso concreto della circolazione di merci, idee e informazioni tra l’Asia orientale e il resto del mondo, in un ampio lasso di tempo che precede di secoli i fatti contemporanei.
L’arrivo di prodotti da terre lontane e misteriose quali erano allora la Cina e gli altri paesi dell’enorme bacino estremo-orientale stimolò in Europa diversi tentativi di emulazione. Attratti dalla qualità di quei manufatti, gli artisti e gli artigiani si impegnarono nel ricreare le loro peculiarità, dalla morbidezza della seta al candore della porcellana, dalla levigatezza della lacca alle iridescenze degli intarsi madreperlacei. Oltre agli aspetti materici, i prodotti estremo-orientali ispirarono anche un rinnovamento nel repertorio europeo delle immagini. Sulle superfici cominciarono quindi ad apparire figure di mandarini e dame cinesi, draghi e fenici, peonie e crisantemi, in un caleidoscopio di visioni che potevano soddisfare il desiderio di esotismo e novità degli europei.
La Cineseria è stata oggetto di numerosi approfondimenti fin dall’inizio del Novecento, anche se il testo di Hugh Honour (Chinoiserie. The Vision of Cathay), che ancora oggi rimane strumento indispensabile per capirne le principali dinamiche, fu pubblicato solo nel 1961. Da allora si sono susseguiti studi e mostre, e anch’io – nel mio piccolo – ho dato un contributo a queste ricerche, concentrandomi sullo sviluppo della Cineseria in Italia tra il XIV e il XIX secolo. Tuttavia, sono convinto che ancora molto si possa fare su questo argomento poiché moltissime sono le ramificazioni che esso ha avuto nel corso del suo sviluppo plurisecolare.
In questo contesto si inserisce la mostra che è attualmente in corso presso il Museum of Fine Arts di Boston (18 agosto 2015 – 15 febbraio 2016), intitolata Made in Americas. The New World discovers Asia. Rispetto alla Cineseria in Europa, le analisi sulla Cineseria in America sono iniziate molto più recentemente, e perciò questa mostra e il catalogo che l’accompagna costituiscono un momento particolarmente importante per gli sviluppi che questo argomento può avere in futuro.
La mostra si compone di circa 100 oggetti, tutti provenienti dalle Americhe e databili tra il XVII e l’inizio del XIX secolo. Manufatti estremo-orientali cominciarono ad arrivare nelle colonie spagnole, principalmente in Messico, verso la fine del Cinquecento, allorché questa regione divenne il punto di approdo dei galeoni ispanici che dal porto di Manila – avamposto in Asia degli spagnoli – trasportavano merci verso la madrepatria. Gli spagnoli non ebbero mai la forza di dominare i traffici commerciali che avvenivano sulle acque dell’Oceano Indiano, e per questo furono costretti a superare i due oceani Pacifico e Atlantico pur di traghettare manufatti estremo-orientali verso Madrid. Una parte consistente di queste merci veniva però smistata nello stesso Messico a beneficio delle autorità spagnole che lì vivevano, anch’esse desiderose di possedere manufatti esotici. E dal Messico, esemplari di questi prodotti potevano poi raggiungere altri luoghi dell’immenso continente americano, dal Perù alla Colombia, dagli Stati Uniti al Canada. Ovunque arrivassero, questi manufatti estremo-orientali ispirarono una produzione in stile, che possiamo certamente definire come Cineseria Americana.
In maniera analoga a quanto accadde in Europa, anche nelle Americhe la Cineseria si è sviluppata come un gusto, ed è per questo che sue manifestazioni si ritrovano sulle più disparate tipologie di oggetti, dai tessuti agli argenti, dai mobili alle ceramiche. La mostra di Boston presenta infatti una variegata selezione di manufatti sui quali compaiono motivi ispirati alla Cina o al Giappone, realizzati utilizzando tecniche che, almeno nel risultato, ricordassero le produzioni artistiche estremo-orientali.
Chinoiserie americana
