Le mode vanno e vengono, lo sappiamo bene.
E questo vale in ogni ambito, anche nel mercato dell’arte cinese.
Tuttavia, tra scoperte e oblio, tra riscoperte e cadute nel dimenticatoio, vale ancora e sempre l’assunto che i manufatti di qualità non possano svanire nel nulla.
Ritornano, non “a volte”, ma con certezza.
E’ ovvio dunque che, nonostante negli ultimi anni la porcellana di epoca Qing con i suoi decori esuberanti abbia in parte monopolizzato l’interesse di mercanti e collezionisti, la ceramica più antica, e in particolare quella prodotta tra X e XIII secolo, non sia del tutto sparita dalle scene.

Ciotola Junyao con invetriatura celeste. Cina, dinastia dei Song Settentrionali. Collezione Christofides.

Anzi, negli ultimi anni, essa ha ripreso il posto che le compete tra quei manufatti che abitano i sogni degli appassionati di arte cinese.
La ceramica Song, pur nella molteplicità delle sue manifestazioni, si caratterizza in sintesi per una netta predilezione per la semplicità, nelle forme come nelle invetriature.
Oggetti solitamente di piccole dimensioni, tra ciotole, vasetti e statuine, modellati per creare strutture essenziali, in una combinazione raffinatissima di linee e volumi.
I maestri delle varie fornaci sapevano bene come gestire le terre, i minerali e il fuoco, sperimentando metodi di lavorazione sofisticati, tra doppie – e anche triple – cotture, allo scopo di ottenere le invetriature volute.
I toni verdi dei céladon di Yaozhou e di Longquan, il blu lavanda dei pezzi Junyao, a volte screziato di striature viola che sanno di esplorazioni intergalattiche, la disarmante armonia dei rivestimenti bianchi del vasellame Dingyao, diretta evoluzione della protoporcellane delle epoche Sui e Tang, le variegazioni tra il marrone e il nero, quest’ultimo esaltato all’apice in quelle ciotole in cui si combina con minute macchioline che ricordano l’olio che si sparge sull’acqua, la sincera bicromia crema-marrone delle robuste ceramiche Cizhou, in origine destinate a un pubblico meno esigente rispetto ai fruitori dei pezzi delle altre fornaci.

Giara Dingyao con decoro di peonia intagliato. Inizio della dinastia dei Song Settentrionali. Collezione Christofides.

Una rarefazione formale e cromatica che fu particolarmente apprezzata fin da tempi non sospetti dagli intellettuali giapponesi (laici e religiosi), i quali associarono questi manufatti alla poetica del Buddhismo Zen, imbevuta di un’estetica basata sul piacere della semplicità.
Se in Cina, le ceramiche di epoca Song hanno costantemente appassionato intenditori e collezionisti, in Europa e negli Stati Uniti un interesse per questo vasellame comincia a manifestarsi solo nel Novecento inoltrato. D’altronde, ancora nel 1911 si poteva leggere su un catalogo di una mostra pubblicato a Shanghai dalla Royal Asiatic Society che quelle ceramiche antiche avevano “un aspetto primitivo”, poco affine ai gusti degli stranieri.
Tuttavia, nei decenni successivi, con il progredire degli studi e la maggiore disponibilità di strumenti intellettuali per comprendere quell’estetica tanto raffinata, non pochi furono i collezionisti europei che si specializzarono in quello specifico ambito della ceramica cinese.

Giara Yaozhou con decoro intagliato di fiori. Cina, Cinque Dinastie. Collezione Christofides.

Tra questi, va ricordato sicuramente Emmanuel Christofides (1928-2020).
Nato a Alessandria d’Egitto, città geograficamente collocata tra Oriente e Occidente e approdo di molte ceramiche cinesi fin da tempi antichi, Christofides visse per lo più in Gran Bretagna, non rinunciando tuttavia a viaggiare in tutto il mondo, e avendo dunque la possibilità di ampliare la sua conoscenza in ambito artistico.
Gran parte dei suoi acquisti di ceramica cinese avvennero però a Londra, città che nella seconda metà del XX secolo ospitava i maggiori mercanti di arte asiatica, tra cui Spink & Son, Bluett & Sons, John Sparks e Eskenazi, solo per citarne alcuni.
Proprio presso questi templi del mercato dell’arte cinese, Christofides acquistò molti dei pezzi della sua collezione, una parte dei quali sarà esitata da Bonham’s a Londra il 15 maggio 2025, e alla quale la nota casa d’aste ha dedicato un intero catalogo intitolato Instinct & Knowledge: A Life in the Company of Song Ceramics, nel quale è presente anche un interessante saggio di Rose Kerr, che ho più volte avuto l’onore di frequentare, tra le maggiori esperte internazionali.
Ventotto pezzi, grazie ai quali non solo si può apprezzare la maestria dei ceramisti di quell’epoca, ma anche il gusto di un collezionista straordinario, capace di intuire e comprendere l’eccezionale raffinatezza di quella produzione, tra le più esaltanti nel vastissimo e lunghissimo ambito della ceramica cinese.