La porcellana cinese è un mondo.
Un mondo vecchio ormai oltre sette secoli, nel quale sono confluite migliaia e migliaia di storie, una miriade di tasselli per un mosaico in continua evoluzione.
Intorno a questo straordinario vasellame si sono intrecciate infatti relazioni artistiche, commerciali e diplomatiche tra paesi e civiltà, anche molto distanti dalla Cina, a formare un caleidoscopio di spunti di riflessione che coinvolgono da sempre orde di conoscitori, collezionisti e mercanti assetati di cultura e sapere.
Fin dagli esordi della sua produzione tra XIII e XIV secolo, la porcellana cinese ha avuto la forza di essere praticamente ovunque sul pianeta terra, desiderata come solo pochi altri materiali lo sono stati.
La sua presenza è da allora documentata nei paesi dell’immenso bacino dell’Oceano Indiano, in Medio Oriente, sulle coste dell’Africa occidentale, in Egitto, e dunque in Europa. Dal XVI secolo si trovava nel sud dell’Africa, in America centrale e meridionale, e pochi decenni dopo anche negli Stati Uniti.
Ovunque.
Una delle caratteristiche di questa porcellana cinese da esportazione è che in molti casi i ceramisti cinesi di Jingdezhen (la cittadina nella provincia dello Jiangxi dove si trovavano le più attive fornaci di porcellana) realizzavano vasellame che per forma, decoro e destinazione d’uso potesse soddisfare esplicitamente le richieste degli acquirenti.
Per questo, sebbene alcune tipologie di manufatti come vasi e piatti siano ovviamente ricorrenti, le diverse produzioni si possono distinguere in base al paese cui erano destinate. Nelle forme, ma soprattutto nei decori. D’altronde, è una logica commerciale semplice ma incontrovertibile che gli acquirenti finali di un prodotto si sentano più a proprio agio con schemi ornamentali più vicini alla propria cultura.
Per questo, non stupisca che – ad esempio – nel vasellame cinese inviato in Europa compaiano molto sovente decori di gusto chiaramente occidentale, nelle figure umane, nelle storie rappresentate, nei florilegi e perfino nei fregi geometrici.
E questo vale per tutte le tipologie della porcellana cinese da esportazione, che fosse stata destinata alla Thailandia o all’America Centrale, al Giappone o alla Persia, all’India o alla Russia zarista.
Il Vietnam è tra i molti paesi che hanno subito il fascino magnetico della porcellana cinese, importando tra il XV e il XX secolo una notevole quantità di vasellame. Si trattava per lo più di manufatti decorati in blu di cobalto sotto invetriatura, richiesti prevalentemente dai membri della corte e dagli aristocratici più abbienti del paese.
Questa produzione è comunemente nota con la definizione di ‘Blu di Hue’, nella quale ‘Hue’ identifica la capitale del Vietnam durante il corso della dinastia Nguyen (1802-1945).
Dal punto di vista delle decorazioni, questo vasellame cinese realizzato a Jingdezhen esplicitamente per il mercato vietnamita presenta caratteristiche che non si discostano molto dagli ornati cinesi.
Draghi e fenici compaiono spessissimo, così come i simboli beneaugurali e dal marcato significato simbolico che appaiono sulle porcellane cinesi destinate al mercato interno del Regno di Mezzo.
Anche le tonalità del blu, con le sue variegate sfumature, sono analoghe, e pure le forme non tradiscono distanze plateali.
Tuttavia, a entrare nel merito, si notano alcune specifiche sebbene sottili differenze, come ad esempio un uso meno marcato delle bordure geometriche, e in certi casi una maggiore libertà nella disposizione degli elementi della composizione, peculiarità che richiama per certi versi la porcellana cinese destinata al mercato giapponese (ko-sometsuke), con i suoi ornati asimmetrici spesso accompagnati da componimenti poetici.
E’ molto probabile che i disegni per questi decori siano opera di artisti vietnamiti poi trasposti sulla porcellana a Jingdezhen, e riflettono dunque un gusto più specificatamente locale.
I marchi, non sempre di facile interpretazione seppure vergati con caratteri di origine cinese, si riferiscono spesso ai nomi delle famiglie aristocratiche che commissionarono i pezzi.
Inoltre, la produzione di piatti e contenitori di fine Ottocento e inizio Novecento presenta spesso orli in metallo, applicato per evitare sbeccature.
Una parte consistente di questa porcellana ‘Blu di Hue’ ha raggiunto l’Europa nel XIX-XX secolo, durante il periodo di colonizzazione francese del Vietnam.
In anni recenti, proprio le case d’asta francesi hanno offerto un numero sempre maggiore di esemplari di questa porcellana, con esiti sempre più soddisfacenti, conseguenza principalmente del diffuso benessere economico del paese della penisola indocinese.
Quello che è successo, e ancora succede, in Cina, si ripete ora con i ricchi vietnamiti, convinti di poter finalmente recuperare a suon di soldoni quello che era stato loro sottratto per causa degli eventi purtroppo ben poco favorevoli della loro storia moderna.