Riguardo all’arte giapponese, oltre ad alcuni oggetti in lacca, di ottimo gusto, e un numero di netsuke di qualità invero corrente, voglio segnalare un massiccio okimono di epoca Meiji (1868-1912), a firma “Gyokushu”, con una frotta di bambini che si inerpicano su una roccia (lotto 49, stima Euro 1000-1500). Un bell’intaglio per un genere artistico giapponese che fino a qualche anno fa attraeva scarsissima considerazione da parte dei collezionisti, soprattutto da parte di quelli più intransigenti che consideravano degni del loro interesse solo i netsuke segnati dall’uso. In anni più recenti, invece, gli okimono hanno raccolto sempre più consensi, tanto che una delle più interessanti pubblicazioni uscite di recente sull’arte giapponese è a loro dedicata: si tratta del lussuoso volume “The Golden Age of Japanese Okimono” di Laura Bordignon (Antique Collectors’ Club, Woodbridge, Suffolk, 2010) del quale spero in un prossimo futuro di poter scrivere.
Moltissimi sono invece i lotti dedicati all’arte cinese, alcuni dei quali di ottima qualità: per questo è necessario che mi soffermi con più attenzione su questo folto gruppo di manufatti. Dovendo fare una selezione tra gli oggetti che mi hanno maggiormente interessato, ho notato con piacere la presenza di alcune notevoli lacche, del classico tipico cinese a color cinabro. Una in particolare (lotto 99, stima Euro 2500-3000), ovvero una scatola a sezione circolare iperbolicamente intagliata su tutta la superficie esterna con diversi motivi di buon auspicio, ha subito attivato alcuni canali della mia memoria (tipo “Ho già visto qualcosa di simile, molto simile…”): la connessione in questo caso non mi ha tradito, così ho ricordato che un esemplare del tutto analogo a quello in asta, con gli stessi simboli augurali, è conservato presso il Museo Stibbert di Firenze (di dimensioni molto maggiori rispetto a quello in asta): quest’ultimo pezzo ha anche – sulla base – la marca di regno dell’Imperatore Qianlong (1736-1795), per cui possiamo ben desumere, così come d’altronde hanno prontamente fatto i compilatori del catalogo della Pandolfini, che anche il pezzo in vendita risalga allo stesso periodo. Un oggetto, quindi, molto importante, di un tipo che si vede solo raramente passare tra le vendite all’incanto internazionali, figuriamoci in Italia. E quindi complimenti!
Un numero cospicuo di lotti presentati a Firenze è costituito da bottigliette per tabacco da fiuto, più comunemente note con la definizione inglese di ‘snuff bottles‘. In generale, si tratta di manufatti artistici di inusitata bellezza, per perfezione tecnica e varietà dei materiali e del repertorio iconografico. In più, costituiscono un tipo di oggetto adattissimo al collezionismo ‘compulsivo’: tanto piccoli che possono essere tenuti nel palmo di una mano, danno il via a un’infinità di elucubrazioni, scambi di opinioni, critiche, ipotesi e così via. Mi ricordano, per queste caratteristiche, i tanto da me amati netsuke, con i quali hanno moltissimo in comune.
Bene, ho da poco studiato una piccola, ma interessantissima, collezione privata di snuff bottles, e mi si è aperto un mondo, fatto di vetro, pietre, porcellana, avorio, legno, nel quale si diffondono colorazioni di superba bellezza. Parlerò in uno dei prossimi articoli, tempo e proprietario permettendo, di almeno due capolavori conservati in quella collezione, così che avrò l’occasione di affrontare ancora questo argomento.
Intanto, mi godo la bella qualità degli esemplari in mostra a Firenze per Pandolfini. Difficile isolarne uno a dispetto degli altri, per scriverne in questa sede, poichè, come ho detto, il maggior pregio di questa elegantissima forma d’arte è proprio la smisurata varietà, così che ognuno possa eleggere il proprio ‘preferito’. Tuttavia, la giada bianca è sicuramente uno dei materiali che più si presta alla realizzazione di queste miniature, per le sue indubbie qualità intrinseche e la sua capacità di ‘reggere’ intagli anche molto minuti. Per questo segnalo il lotto 168, stimato di partenza Euro 1800-2000, con un drago e protomi leonine a rilievo sul candore immacolato della pietra di giada.
In ultimo, vorrei proporre alcune riflessioni su quello che è senz’altro l’oggetto più rilevante presentato dalla Pandolfini per l’asta del 19 maggio. Si tratta della notevole scultura lignea (h. cm. 110) al lotto 30, stimata di partenza la rispettabile cifra di Euro 25000-30000. Raffigura il bodhisattva Guanyin seduto plasticamente su una roccia. Lo stato di conservazione è buono: solo si notano alcune lievi cadute di colore, che riguardano quindi la superficie più esterna, peraltro già oggetto di una ridipintura ‘ab antiquo’, come segnalato nella scheda del catalogo d’asta. Stilisticamente, l’opera in questione è esemplare di una tipologia statuaria cinese che ha origine nel tardo periodo Tang (618-907), poi perfezionata durante le dinastie (Song (960-1279) e Yuan (1279-1368), sfruttata infine dai maestri dell’intaglio cinese anche nei secoli a venire, fino alle dinastie Ming (1368-1644) e Qing (1644-1911).
La scultura di questo tipo più nota, e forse più bella, è quella conservata nel Nelson-Atkins Museum of Art di Kansas City, nel Missouri, ma altri esemplari parimenti importanti si trovano in musei cinesi, statunitensi ed europei. Il capolavoro di Kansas City rimane ancora, per certi versi, un enigma: in passato alcuni esimi studiosi, mettendo in risalto la struttura barocca del suo impianto compositivo, si spinsero a datarla al tardo periodo Ming. In seguito, tale datazione è stata man mano anticipata, fino a che, in tempi recenti, si è assestata all’X-XII secolo. Tuttavia, permangono divergenze di opinioni tra chi la contestualizza nell’ambito della dinastia settentrionale degli invasori Liao (916-1125) e chi la ritiene opera più ‘cinese’, realizzata tra i confini cronologici e geografici della dinastia dei Song Settentrionali (960-1127). Insomma, un dilemma, difficilmente risolvibile poichè mancano appigli documentari inoppugnabili. Queste dispute possono accadere anche perchè, tra le arti cinesi, la scultura è ancora una disciplina di studio che ha molto da dire, nonostante proprio negli ultimi anni siano stati pubblicati ponderosi volumi sull’argomento. Ciò vale ancor di più in relazione alla statuaria di realizzazione più recente, soprattutto quella modellata secondo canoni più antichi. Chiunque, come è accaduto a me, cimentandosi nell’analisi di una statua lignea di epoca Ming non potrà non ammetterre di aver trovato difficoltà, soprattutto per penuria di pubblicazioni e quindi di confronti plausibili: d’altronde, questi mancano perchè le collezioni pubbliche internazionali isolano i propri pezzi migliori e d’alta epoca, praticamente disinteressandosi di promuovere la conoscenza dei manufatti più tardi.
Tutto questo discorsetto ha molto a che fare con la bella Guanyin in asta per Pandolfini. Premettendo che non ho alcuna intenzione in questa sede di criticare la datazione al periodo Yuan (1279-1368) proposta in scheda, mi chiedo però su che confronti essa si basi, se non per analisi stilistica. Ora, tenendo presente le difficoltà di decodificazione che ho elencato sopra, si potrebbe anche ipotizzare una datazione diversa, per esempio alla dinastia Ming. Tutto questo scrivere, però, non avrebbe alcun valore e dignità di essere letto, perchè inutile pseudo-polemica, senonchè la statua in questione, come si legge a piede della scheda di catalogo, è stata notificata (DM 7213 del giugno 2006) dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali. “Interesse storico e artistico particolarmente importante”, si legge testuale, con formula canonica. Certo, a tale decisione deve aver contribuito, e non poco, la sua presunta datazione al XIII-XIV secolo.
Qui il ‘nocciolo’ della questione. Interesse artistico: la statua è bellissima, ma non eccezionale, non un pezzo unico. Un’opera d’arte vera, genuina, che fa la sua bella figura. Ma l’interesse storico? Di quale ‘storia’ si tratta, dunque? Non certo della storia dell’arte cinese, perchè di questa scultura nulla si sa, e perciò non si può certo inserire in un contesto storico cinese. Non è perciò uno di quei casi che spesso si verificano in Italia, per l’arte italiana: un’opera non eccellente, di un artista non straordinario, può però costituire l”anello’ mancante di una ‘catena’ storico-artistica, magari in un contesto regionale: così un’istituzione museale può proporre di notificare, ed eventualmente acquistare, un dipinto che però servirebbe a completare il quadro artistico di un certo periodo, altrimenti non chiaro. Esempio, un museo comunale che acquista un’opera di un pittore della sua città per rappresentarne l’attività, sebbene l’opera in questione sia una crosta e l’artista non dotato. Concordo con questa visione e modo di procedere. Ma la Guanyin cinese in questione di quale ‘catena’ costituirebbe l”anello’ mancante?
E neanche si può trattare di ‘storia’ italiana della statua. E’ noto che la legislazione italiana preveda che un manufatto artistico, di qualsiasi provenienza, se sia stato sul territorio italiano per un certo periodo, diciamo, si ‘connaturi’ col territorio stesso, divenendo quindi parte viva della storia recente italiana. Ma in questo caso specifico, la scultura, fino a pochissimi anni fa si trovava altrove, dall’altra parte del mondo. E’ arrivata in Italia per un soggiorno ‘transitorio’, nella speranza del suo ultimo proprietario di poter raggiungere presto altri lidi. Così la giustificazione di “interesse storico” che compare nel decreto ministeriale non ha alcun senso.
Forse l’idea di chi ha esaminato per conto del Ministero la scultura era quella di poterla far acquistare dallo Stato, al posto di un privato magari straniero, perchè arricchisse il patrimonio di arte cinese italiano. Giusta causa e nobili intenti, che approvo pienamente, ma senza alcuna conseguenza pratica, visto che l’opera è ancora nelle mani del suo proprietario e di finanziamenti statali per il suo acquisto, come c’era da aspettarsi, neanche l’ombra.
Certo la notifica può anche non essere un dramma, anzi. Sicuramente il valore dell’opera è esponenzialmente salito, come se l’istituzione le avesse dato una carta di identità, se non una benedizione. A patto però che, e qui mi immedesimo nei ragionamenti del proprietario attuale, la scultura si venda alla valutazione che merita la sua indubbia qualità. Sono sincero, e spero che gli acquirenti italiani che se la contenderanno – perchè solo a loro è destinata la contesa, che gli stranieri non potranno partecipare a causa del ‘famoso’ DM che vieta che l’opera lasci il suolo italiano – siano tanti, e se anche fosse uno solo sia animato dal buon gusto di possedere un’autentica Guanyin di epoca Yuan.
PS:
Si sarà capito dal modo in cui ne ho scritto: conosco dettagli che riguardano la vicenda della Guanyin perchè l’ho vista già qualche tempo fa, prima che fosse notificata. Già allora colpiva per la sua grazia, come commentammo insieme all’amico che ne è il proprietario.
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