Asia ‘estremo-orientale’. Arte ‘dell’Estremo Oriente’.
Soffermiamoci su ‘estremo orientale’, un vocabolo a dire il vero piuttosto vago. Per convenzione con questo termine si vuole intendere quella vastissima porzione del continente asiatico ubicata, diciamo, a est dell’Himalaya, più o meno.
Ne è escluso quindi il subcontinente indiano e ne fa parte, invece, il cosiddetto sud-est asiatico, ovvero la penisola indocinese con le sue mille culture diverse. Soprattutto, però, l’Estremo Oriente si identifica con la Cina, il “Regno di Mezzo” (così come, modestamente, i cinesi amano da sempre proclamare il proprio paese), e, in minor misura, il Giappone.
Ops…mi sembra di aver dimenticato qualcosa…
Nella vaghezza di questa sorta di ricostruzione geografica della ‘parte destra’ della mappa dell’Asia, ebbene, manca sì qualcosa. Un lembo di terra a nord, tra Cina e Russia, diviso dal Giappone solo da pochi chilometri di mare aperto. Non un diverticolo tra i due giganti continentali e l’arcipelago del Sol Levante. Bensì un paese con una superficie territoriale non di moltissimo inferiore a quella dell’Italia, una popolazione che supera abbondantemente i settanta milioni e una cultura plurimillenaria. Un paese che, ahi noi! e ahi loro!, spesso ricorre nelle cronache attuali per la difficile situazione politica in cui si trova. Un paese diviso, tra un nord militarizzato e poverissimo e un sud democratico e ricchissimo. Così diviso da oltre mezzo secolo, periodo lunghissimo durante il quale persone con lo stesso DNA, la stessa storia e analoghi costumi hanno subito, e continuano a farlo, una diaspora crudele e fratricida che si acuisce senza pietà nonostante le lacrime, il dolore e le esortazioni alla ragionevolezza.
E’ la Corea.
Oggi divisa tra un nord e un sud, la penisola coreana è stata per gran parte della sua storia territorio di contesa e luogo di conquista, così com’è posta nel mezzo tra paesi invadenti e pressanti come furono la Cina e il Giappone. Tuttavia, nonostante l’alternanza di divisioni, riunificazioni, dominii stranieri e indipendenze ritrovate, il popolo coreano ha avuto la forza di creare, sviluppare e tramandare un proprio retaggio culturale il quale, benché frutto di assimilazione e rielaborazione di prestiti e acquisizioni dai potenti paesi confinanti, ha infine dato vita a elementi autonomi e originali nel contesto dell’Asia estremo-orientale.
Anzi, non è successo raramente che proprio la cultura coreana abbia fatto da tramite nella trasmissione di idee e informazioni materiali tra quei paesi (la Cina e il Giappone) che nel frattempo tentavano di imporre la propria supremazia sul territorio coreano. Ad esempio, la cultura coreana ha svolto un ruolo essenziale nel trasferire i traguardi culturali dalla Madre Cina al Giappone, che altrimenti per chissà quanto tempo sarebbe rimasto all’oscuro dei progressi di ogni tipo che si succedevano nel resto del mondo. Dalla Corea, grazie a coreani, i giapponesi hanno appreso le tecniche dell’agricoltura e della lavorazione dei metalli, l’uso della scrittura cinese, il Buddhismo, e molto altro ancora. Anche nel campo delle arti l’influenza della Corea sul Giappone è stata essenziale: la scultura sacra, la pittura, la ceramica, la porcellana, e così via. Nel passato i giapponesi, pur tentando a più riprese – a volte con successo – di conquistare la contigua penisola, mostrarono grande rispetto per le manifestazioni artistiche coreane. Ad esempio, molti Maestri della cosiddetta ‘cerimonia del the’ dimostravano di gradire moltissimo i manufatti coreani, soprattutto i contenitori in ceramica, tra cui quelle tazze dalle quali sorbivano la densa bevanda verde. Il debito del Giappone nei confronti della cultura coreana è dunque altissimo.
L’arte della Corea, pur mostrando evidenti debiti formali e tecnici nei confronti soprattutto della Cina, ha quindi una propria, altissima, dignità. In molti musei occidentali essa è presente con grandi quantità di opere di rara bellezza. Ad esempio, in Europa, è ben rappresentata nel Musée Guimet di Parigi e nel British Museum di Londra, i quali hanno non molto tempo fa promosso delle bellissime pubblicazioni sulle loro sezioni di arte coreana, il primo con un elegante volume di Pierre Cambon dal titolo “L’art coréen au musée Guimet” (2001), il secondo con un volumetto più agile ma densissimo di informazioni di Jane Portal (“Korea. Art and Archeology”, 2000).
In Italia, chi avesse voluto ammirare opere di antica arte coreana entro i confini nazionali avrebbe avuto pochissime occasioni. I musei italiani di arte orientale, pressoché tutti, non possiedono infatti raccolte di questo tipo e, a mia conoscenza, i reperti di arte coreana nelle istituzioni pubbliche italiane sono davvero rarissimi. Da una parte questa lacuna si giustifica con la grande quantità di manufatti cinesi e giapponesi, disponibili in abbondanza sul mercato antiquariale fin dal tardo Ottocento; d’altra parte, ancora oggi è difficilissimo reperire opere d’arte coreana di buona qualità. Non posso tra l’altro escludere anche che tra i collezionisti italiani sia mancato nel tempo l’interesse per questa cultura estremo-orientale, nonostante l’importanza storica e geografica di quel paese. Solo così posso, ad esempio, giustificare l’assenza di una sezione di arte coreana nel neonato Museo di Arte Orientale di Torino che si è autonomamente assunto l’onore e l’onore di essere l’unico rappresentante in Italia di museo dedicato all’arte orientale di concezione internazionale e moderna. Nel caso piemontese è evidente quindi che è mancato, e tuttora manca, fisicamente il materiale per costituire una sezione di arte coreana.
Ho appreso con gaudio quindi la notizia che il Museo Nazionale di Arte Orientale di Roma ha, primo in Italia, inaugurato nei propri ampi spazi una sala dedicata alla Corea. Realizzato grazie al fondamentale contributo della Korea Foundation, l’allestimento consta di una cinquantina di oggetti databili dalla metà del VII al XX secolo. Prevalentemente sculture buddhiste in bronzo, sigilli e alcuni altri manufatti in metallo, ceramiche con invetriature céladon, alcuni dipinti, libri e mobili, oltre ad un piccolo gruppo di oggetti di manifattura contemporanea (ancora dipinti e ceramiche) prevalentemente donati direttamente dagli artisti al Museo. Una parte consistente degli oggetti antichi è entrata in Museo nel 1960, allorché Giacinto Auriti – che fu ambasciatore in Giappone prima della Seconda Guerra Mondiale, oltre che attento studioso di cose giapponesi – donò al Museo la sua raccolta privata. In quello stesso anno il Governo coreano legò tredici ceramiche alla stessa istituzione; il resto degli oggetti fu acquisito in seguito, sia come acquisto sia come donazione.
Naturalmente, questa piccola raccolta del museo romano non ha la pretesa di esaurire il lungo e articolato percorso dell’arte coreana, non potendo in nulla competere con le collezioni dei musei parigino e londinese citati sopra. Essa intende invece offrire una panoramica fugace ma densa sulla cultura materiale di quel paese, magari incentivando in futuro l’arrivo di altre opere che amplino questo gruppo iniziale.
Con lungimiranza il Museo di Arte Orientale di Roma, nell’occasione dell’apertura della sezione coreana, ha prodotto anche un piccolo ma grazioso ed esauriente cataloghino curato da Roberto Ciarla e Maria Luisa Giorgi ed edito da Artemide. Ricco di illustrazioni e testi, affianca con gusto e correttezza scientifica l’apertura della sala.
Infine, è bene specificare un’ultima cosa nonostante possa per molti sembrare un’ovvietà. La Korea Foundation è una fondazione sud-coreana, naturalmente. L’intervento nel cataloghino è infatti dell’Ambasciatore in Italia della Repubblica di Corea, ovvero della Corea del Sud. Tuttavia, nonostante solo la parte ricca e libera di quel paese abbia contribuito a quest’iniziativa in Italia, mentre quella povera e sottomessa del Nord credo abbia problematiche interne troppo gravi per occuparsi di arte e cose simili, visitando la sala del Museo romano il mio pensiero è stato quello di trovarmi di fronte ad esempi di un’arte di un intero popolo, di una civiltà unita e di una cultura prestigiosa. Le drastiche divisioni, le gravi condizioni politiche e sociali patite nell’attuale Corea costituiscono un affronto insopportabile per tutta l’umanità, oltre che essere specchio opaco, non riflettente e mendace di un’altra storia, di un’altra tradizione, di un’altra cultura, di un’altra arte.
E’ piuttosto raro che un mucchio di metallo dipinto e alcuni cocci invetriati possano anche offrire simili spunti di riflessione. Questo a me è accaduto visitando la nuova sala del Museo di Arte Orientale di Roma dedicata alla Corea.
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