Andrà in scena il prossimo 3 dicembre presso Bonham’s Hong Kong un altro importante appuntamento per il mercato internazionale dell’arte cinese. Si metterà allora al pubblico incanto un’eccezionale raccolta di arte cinese, appartenuta ad un collezionista privato europeo che l’ha formata nella seconda metà del XX secolo, tra gli anni ’50 e ’70.
Il nome di questo collezionista non è noto, ma si sa che egli poté beneficiare nella scelta degli oggetti della preziosa consulenza di William (Billy) Winkworth (1897-1991), uno dei maggiori esperti di arte estremo-orientale vissuti nel Novecento. Figlio Stephen Winkworth (morto nel 1938), che fu anch’egli eminente collezionista e conoscitore di arte cinese e, tra l’altro, fondatore della Oriental Ceramic Society, William Winkworth lavorò da giovane presso il British Museum in stretta collaborazione col grande conservatore R.L. Hobson; poi divenne consulente indipendente per Glendining e Sotheby’s, mettendo a segno una serie di importanti colpi di mercato. E infatti, molte opere della sua raccolta furono vendute con grande soddisfazione da Sotheby’s e Bonham’s tra il 1972 e il 1980.
I 18 lotti del catalogo di questa prestigiosa vendita di Bonham’s sono stati acquistati in quegli anni presso noti mercanti di arte cinese di Londra, tra i quali Spink & Son, Sydney L. Moss, Alfred Speelman e Douglas J.K. Wright. Per molti di loro rimane una relativa documentazione, soprattutto le lettere che Winkworth inviava al collezionista per aggiornarlo sulle trattative e per spiegare la rarità del pezzo in questione.
E’ il caso, ad esempio, della montagna in giada al lotto 13 (h. cm. 25,5, stima 90.000-150.000 $), acquistata da Winkworth per conto del collezionista nel 1964. Nelle lettere l’esperto riferisce chiaramente che il pezzo è di una tale qualità che non può che esser datato al periodo Qianlong, e che forse fu realizzato per il Palazzo d’Estate.
Tra i pezzi, s’impongono per stima (450.000-650.000 $) una fiasca bianhu con gli Otto Trigrammi disposti in rilievo attorno ad un umbone centrale con il motivo dello yin-yang, per intero rivestita di una suggestiva invetriatura flambé (lot 1). Acquistata nel 1970 presso Sidney Moss, ha marchio impresso dell’imperatore Yongzheng (regno 1723-1735). Nella scheda del catalogo Bonham’s si legge che non esiste un altro esemplare al mondo che si possa comparare a questo.
Ancora una fiasca bianhu con gli otto trigrammi e il simbolo yin-yang si impone tra gli altri lotti per qualità e stima (lot 7, 650.000-1.000.000 $). Rivestita di una stupefacente invetriatura celeste di tipo Ru, ha marchio dipinto dell’imperatore Qianlong (1736-1795). Anche in questo caso, sembra non esistere un oggetto simile, ed è quindi la sua rarità che giustifica una tale valutazione, ed è per la stessa ragione che i collezionisti cinesi se la contenderanno al rialzo.
Non solo porcellane, però. Di grande bellezza è anche la scultura in pietra saponaria al lotto 12 (65.000-90.000 $), raffigurante il luohan Ajita. Impreziosita da minuti intarsi di turchese, la naturale colorazione della pietra – con variegazioni tra il beige e il marrone-rossiccio molto scuro – è già segno di una eccelsa manifattura. Senza contare che sul retro della scultura compare il marchio a incisione dell’artista Zixiu, autore di un certo numero di opere tutte di grandissima qualità e, plausibilmente, attivo nel XVII secolo.
Di grande impatto è anche la scultura al lotto n. 16 (45.000-65.000 $). In metallo decorato a smalti cloisonné, raffigura un leone buddhista a tutto tondo posato su una roccia (cm. 21). La composizione è resa in maniera splendida, con la bestia mitologica che volge fiera il suo capo decisamente verso sinistra con le fauci spalancate; notevole è anche la disposizione degli smalti, applicati nei cloisons in modo da riflettere la naturale conformazione degli elementi, soprattutto nella resa della roccia.
In conclusione, mi si consenta una riflessione. Capisco che la proprietà privata, anche dei beni d’arte, sia un diritto sacrosanto, e quindi che ognuno possa fare delle sue opere quello che meglio crede. Ma di questo passo, che rimarrà (o meglio, che è rimasto…) di arte cinese in Europa, ad esclusione dei musei pubblici? Poco, penso davvero poco…