Il giorno 11 dicembre 2018 si è tenuta a Roma presso Bertolami Fine Arts l’asta dedicata all’arte asiatica. Sono stati esitati 429 lotti, suddivisi in due sessioni, la prima delle quali con manufatti orientali provenienti da collezioni private italiane, la seconda – dal lotto 316 a concludere – riguardante la collezione di netsuke di Vito Taverna.

Vediamo qui di seguito gli oggetti che hanno attratto più interesse.

Il lotto 29 era un bel piatto in porcellana con invetriatura rossa, al centro della base del quale campeggiava il marchio a sei caratteri dell’imperatore Qianlong (regno 1736-1795), e a quest’ultimo – o al suo entourage – questo piatto apparteneva. Anche la provenienza era utile a confermare l’autenticità dell’oggetto: il piatto era proprietà di una nobildonna di origini olandesi vissuta in Indonesia fino al 1975, anno in cui si trasferì in Italia portando con sé la sua grande collezione di arte orientale. In particolare, il piatto risulta essere acquistato a Jakarta il 14 aprile 1967 presso l’antiquario Lee Cheong. La stima iniziale di questo lotto era di € 3.000-4.000, ed è stato aggiudicato a € 3.600, probabilmente da un acquirente cinese che l’ha riportato nel suo paese di origine.

Ad un’altra importante collezione è appartenuta la ciotola di epoca Yuan con vibrante invetriatura turchese con macchia porpora di tipo Junyao (lot 138), stimata € 1.500-2.000 e venduta a € 3.800 più i diritti d’asta. La ciotola era tra i beni di Francesco Rausi, ambasciatore che ha lavorato in molti paesi dell’Asia tra cui la Cina (nel 1989), l’Indonesia e la Corea.

Una raccolta molto eterogenea dunque tra cui si distinguevano anche alcune porcellane come il graziosissimo incensiere al lotto 146. Rivestito di una di una smagliante invetriatura celeste di tipo qingbai, questo oggetto si caratterizzava per la presenza all’interno del contenitore di cinque piccoli cilindri che potevano utilizzarsi per ospitare fiori oppure bastoncini di incenso. Partito da € 300, questo raffinato manufatto è stato infine aggiudicato a € 2.200, con grande soddisfazione di tutti coloro che hanno partecipato alla sua vendita.

L’opera della collezione Rausi che più interesse ha attratto è stata tuttavia un prezioso manoscritto buddhista coreano databile alla dinastia Goryeo (lotto 184). Formato da undici fogli ripiegati a fisarmonica, il manoscritto si svolgeva su un fondo indaco; al testo si alternavano raffigurazioni floreali all’interno di cartigli, mentre due pagine erano dedicate esclusivamente alla rappresentazione di una triade buddhista. Il contenuto del sutra era accompagnato da indicazioni verosimilmente su come salmodiare la preghiera. In molti se lo sono conteso, finché è stato infine aggiudicato alla bella cifra di € 12.500, da una partenza di € 1.000-1.500.

Un certo interesse ha attratto anche la convincente in scultura in bronzo dorato cinese del XVIII secolo raffigurante Amitayus (lot 221). Ricca di dettagli, si distingueva inoltre per una bellissima patina che in parte ha intaccato la scintillante doratura di cui era per intero rivestita in origine. Forse proprio questa carenza – molto apprezzata invece da parte mia – ha intimidito i possibili acquirenti, così che la statuetta è stata battuta a € 3.400, poco oltre la stima più bassa che era di € 3.000. La storia della sua provenienza si poteva ripercorrere a ritroso fino agli anni Trenta del Novecento, periodo in cui una famiglia di origini svizzero-napoletane la acquisì probabilmente nel corso di uno dei numerosi viaggi che faceva tra l’Italia, la Svizzera e Parigi.

Tutt’altra storia per il lotto 228. Nonostante avesse anch’esso una stima iniziale di € 3.000-4.000, la scultura in bronzo raffigurante Bodhidharma è letteralmente ‘schizzata’ a € 10.000.

Finemente cesellata nei dettagli della veste e nella barbetta, la statuetta è molto piaciuta, tant’è che in molti se la sono contesa, facendo così lievitare il prezzo.

Il lotto 237 ha costituito probabilmente la maggiore sorpresa di quest’asta organizzata da Bertolami. Si trattava di un grande dipinto cinese (cm. 149,5 x 61,3) raffigurante un tipico paesaggio fluviale, con colline, vegetazione e piccole figure in primo piano, realizzato a solo inchiostro su carta. Valutato in partenza € 300-400, è stato infine aggiudicato a € 5.250, a confermare che nel mondo delle aste – soprattutto quelle relative all’arte cinese – partire da una stima bassa equivale a indurre gli acquirenti a partecipare alla gara. Chi infatti vuole acquistare in asta lo fa soprattutto con la convinzione di poter fare un buon affare; poi, se si scatena la competizione, subentrano certi meccanismi psicologici per cui cedere al ‘rivale’ diventa quasi disdicevole, ed è per questo che i prezzi lievitano, tra l’altro.

I lotti dal 247 al 274 appartenevano tutti alla collezione che fu di Giovanni Testori (1923-1993), grande protagonista della cultura italiana del Novecento, scrittore, storico e critico dell’arte, giornalista e autore per il teatro. Nel corso della sua vita Testori si dedicò anche ad acquistare manufatti extra-europei, tra cui alcune ceramiche iraniane antiche e di buona fattura. Una di queste (lotto 249), un commovente contenitore rivestito di invetriatura turchese del XII secolo, è stato aggiudicato a 800 €, con una partenza di € 400.

Pure alla collezione Testori appartenevano tre sculture in pietra di evidente stile centro-americano. Il lotto 273 era sicuramente il pezzo più interessante di questa piccola sezione: con una partenza di € 300-400, è stato infine venduto a € 850.

La parte finale dell’asta, come detto, era dedicata alla collezione di netsuke di Vito Taverna, pubblicitario di grande successo che si appassionò alle piccole sculture giapponesi verso l’inizio degli anni Settanta, acquistandoli prevalentemente presso Vittorio Eskenazi che ai tempi aveva una galleria in Via Montenapoleone a Milano. Non abbiamo notizia di aste monotematiche di netsuke proposte in Italia prima di questa occasione, ma il coraggio di Bertolami è stato premiato, e alcuni lotti sono stati venduti a prezzi che si possono considerare in linea con le vendite all’estero.

Il netsuke che più ha attratto l’interesse è stato sicuramente quello raffigurante un’ammiccante Okame nell’atto di sollevare la sottana, firmato Ryukei e databile tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo (lotto 354). Con una base di partenza di € 3.000-4.000, il pezzo ha scatenato una divertente gara che si è conclusa con un’aggiudicazione a € 16.000.

 

Di rilievo anche l’aggiudicazione del lotto 386, non tanto per la cifra raggiunta (€ 2.800, partenza a € 2.000-3.000), ma poiché si trattava di un coniglio in avorio con occhi in corallo realizzato da Kangyoku, artista attivo nel XX secolo, a confermare che in quest’ambito non funziona solamente l’antichità del pezzo ma soprattutto la sua qualità, di intaglio e di composizione, a prescindere dal periodo di manifattura.

Certamente più antico il netsuke al lotto 411, raffigurante un fungo sul quale si posa una lumachina. Magistralmente intagliato nel legno e patinato con gusto straordinario, riportava una firma di Shigemasa, artista del XIX secolo soprattutto famoso per questo genere di lavoro. La stima di € 3.000-4.000 è stata più che raddoppiata, e il prezzo di aggiudicazione ha raggiunto la bella cifra di € 6.250.

In conclusione, quel che ha detto quest’asta è che se, come ormai accade da anni, l’arte cinese è quasi una certezza, anche i manufatti di altre civiltà asiatiche hanno un loro vivace mercato. L’importante è ovviamente che ci siano sempre qualità e rarità, caratteristiche imprescindibili per attrarre collezionisti attenti in qualsiasi parte del mondo.