Caro Andrea,

come mi avevi consigliato, ho visto “Il mio vicino Totoro”. Non al cinema, anche se è stato nelle sale italiane per un breve periodo dal settembre 2009, ma sul DVD che la Lucky Red ha messo in distribuzione all’inizio del 2010. Il film, come sai, non è infatti recentissimo: la sua prima uscita in Giappone, con il titolo di “Tonari no Totoro” (la traduzione in italiano è letterale), risale al 1988, anno in cui non molti avrebbero pronosticato per Hayao Miyazaki (classe 1941) un tale successo internazionale.

Ma il momento è propizio. Almeno lo è dal punto di vista commerciale. In qualsiasi videoteca si vada, i films di Miyazaki non mancano; segno che in molti, noi compresi, li acquistiamo, o almeno li affittiamo, li vediamo, e ne rimananiamo entusiasti. D’altronde le creazioni di Hayao Miyazaki danno sempre molte certezze dal punto di vista artistico: per la qualità dei disegni (superlativi), per l’intrigo delle storie, per l’intelligenza dei dialoghi, in breve per quello che ti rimane dopo i titoli di coda (e non è poco).

Se poi, com’è naturale, facciamo il confronto con le produzioni Disney, almeno quelle di stampo ‘classico’ tipo il recente “La principessa e il ranocchio”, i lungometraggi di Miyazaki ci sembrano veri e propri capolavori, tra i pochi cartoni animati che valga la pena di vedere. Escludo dalla discussione i prodotti della Pixar (vedi, ad esempio, i due “Toy Story”), per i quali ho una certa debolezza, ma non azzardo il confronto, considerando quanto le opere di Miyazaki siano differenti da quelli, nella sostanza e nella forma.

Una scena dal film

E’ un presupposto, quindi, che i films di Miyazaki, tutti compreso “Totoro”, siano ‘nelle nostre corde’, molto più di altri cartoni contemporanei e di ampia distribuzione. Tanto più che i films di Miyazaki riescono pienamente a soddisfare anche la nostra passione per la cultura giapponese. O meglio, Miyazaki è uno dei personaggi dei nostri tempi che più hanno contribuito alla comprensione in Occidente del Giappone, dei suoi usi e dei suoi costumi.

Più di tutto è straordinaria la maniera in cui egli riesce a farci partecipi di una delle più meravigliose caratteristiche della tradizione nipponica, ovvero l’amore, il rispetto, la devozione che i giapponesi hanno per la Natura. Questo è un argomento cardine di tutta la poetica di Miyazaki, che traspare in tutta la sua produzione, almeno in quella che io conosco. Ne fui travolto già dalla prima visione della “Principessa Mononoke” (1997), vera e propria epopea intorno all’eterno confronto tra l’uomo e la Natura, dal quale non scaturiscono mai né vincitori ne vinti.

Perciò Miyazaki si può considerare un perfetto shintoista, interprete eccellente di un aspetto cruciale della cultura giapponese. Tutto ciò traspare evidentemente guardando “Totoro”, anche più che altrove tra i suoi numerosi films.

Una scena dal film

Emblema di questa spiritualità di stampo animista è senz’altro il grande albero di canfora che si erge immoto sovrastando noi, le nostre azioni e i nostri pensieri. Le piccole Satsuki e Mei si integrano alla perfezione nella sua essenza; grazie alla loro genuinità e alla loro innocenza, ne riescono a comprendere il reale valore e persino i segreti, solo affrontando simpatiche peripezie e strambe avventure, solitamente a lieto fine. Il grande albero, venerato dai tempi immemorabili in cui fu per la prima volta abbracciato dalla fune rituale (shimenawa), accoglie nel suo grembo chiunque voglia amare e voglia essere amato. Lo spirito che lo rappresenta, e che per traslazione rappresenta la Natura intera, non è un’entità misteriosa, astratta, ambigua, bensì un coniglio, di nome Totoro: gigante, ma sorridente, pancione e benevolente, come direbbero i giapponesi “kawai!!!”, ovvero carino, dolce, tenero, da abbracciare, coccolare, poichè egli dispensa vita, elargisce doni, si prodiga in aiuti di vario tipo, fino a mettere a disposizione il suo eccentrico mezzo di trasporto, ovvero il Nekobasu.

Invero, il Nekobasu è una mostruosità, ma chi potrebbe mai pensare che questa malformazione felina abbia l’animo perverso e attitudini violente? Non si tratta solo di un’anomalia della Natura, per qualcuno forse anche repellente, ma di benevola magia, il risvolto magico della Natura, il frutto della sua inesauribile fantasia.

Tuttavia, si tratta di fantasia da bambini, bambinesca? Oppure, si tratta di fantasia per uomini-bambini, emozionante a tutti i livelli, a dispetto anche dell’età degli spettatori?

Ebbene, io naturalmente propendo per quest’ultima risposta, e credo che questa sia la reale grandezza di Miyazaki, quello per cui più lo ammiro. Perchè i suoi ‘mostri’, tali possono essere definiti, non fanno paura agli adulti, e tanto meno ai bambini.

Una scena dal film

Essi rappresentano il mistero, quel mistero insondabile che noi – gli occidentali – abbiamo voluto rimosso, sulla scia di ataviche paure. Perchè i nostri vecchi, per voler esorcizzare essi stessi le loro paure, hanno voluto creare più piani di conoscenza tra loro incompatibili: la realtà, quel che siamo; quello che è ideale, che aspira al sublime; quello che ci potrebbe toccare in sorte, se infrangiamo le regole, del reale e del sublime. In base a questa costruzione, un gatto a dodici zampe è solo un ‘mostro’, come lo è un coniglio di dodici tonnellate. Mai ci aspetteremmo che questi, che sono a tutti gli effetti ‘freaks’, siano con noi gentili e disponibili. Eppure, questa è la sensazione che abbiamo intereagendo con le strambe creature di Miyazaki. O almeno, chi potrebbe dire che la Strega di Biancaneve sia meno pericolosa, cattiva e perversa di Totoro & company?

Ne parlo con esperienze di prima persona. Mio figlio ha visto “La città incantata” (2001) più volte fin da quando aveva tre anni, eppure mai mi sono preoccupato di un’eventuale cattiva influenza di quel film (che io ritengo il capolavoro assoluto di Miyazaki) su di lui e sulla sua labile psiche in via di formazione. Non l’ho mai visto emulare alcuno dei mostri, tantissimi, che vi compaiono, alcuni dei quali – come le palline di fuliggine – prefigurati anche in “Totoro”. Al contrario, mi ritrovo spesso a combattere con i personaggi di alcuni dei cartoons che egli vede quotidianamente, molti dei quali trasmessi in ora serale da alcuni dei networks televisivi attualmente più gettonati. Nel tentativo di comprendere i motivi per cui egli si faccia ipnotizzare da quest’ultimi, vedendoli ne rimango anch’io shockkato, abbindolato dall’evanescenza e dall’insulsaggine del messaggio (?) che trasmettono.

A mio parere, “Il mio vicino Totoro” non è “Il film simbolo dello Studio Ghibli finalmente in Italia”, così come recita un frase evidenziata sul retro della custodia del DVD che ho acquistato. Semplicemente, non può esserlo perchè io ho visto le sue future evoluzioni, ovvero “La città incantata”, “Il castello errante di Howl” (2004) e “Ponyo” (2008).

Eppure, esso è già pura poesia; sintesi di verdi, rossi, gialli, blu; un padre, una madre, due figlie, una famiglia; problematiche reali che si trasfondono nello scorrere naturale del tempo; senza retorica; un miracolo che eternamente si ripropone, all’ombra di un monumentale albero di canfora; non c’è dio, eppure i presupposti, quelli si, ci sono tutti, e son più che sufficienti.

Con affetto, un abbraccio a te e ai tuoi bambini